L'icona è radicata nel cuore stesso della rivelazione

 
 
 

Dalle parole di Paul Evdokimov

L’ORTODOSSIA
Edito da EDB
Riferimenti da pag. 326 a pag. 331

 

L’ARTE DIVINA



(….) L'icona è un miracolo della fede. La tecnica più perfezionata, l'audacia dei ritmi nuovi, sono sempre commoventi, ma da soli rimangono «documento umano», religione dell'umano, dell'effimero. La potenza dell’icona dipende dal suo contenuto, essa manifesta lo Spirito. L'iconografia ci inizia al sovrasensibile; la realtà empirica si attenua dinanzi alla lettura dei prototipi del pensiero divino.

(….)

La «Guida degli Iconografi», formulario di regole dell'arte sacra, salva l'icona dall'insipidità e la mette al riparo da devozioni soggettive e dalla fluttuazione di gusti poco sicuri.

L'architettura sperimenta sullo spazio, il memoriale liturgico sul tempo, l'icona sull'invisibile. Il carattere proprio dell'icona è dato perciò dalle «essenze» presenti, dalla rivelazione dello schema spirituale nascosto.

Essa non è astratta: pur essendo figurativa, la sua somiglianza non ha nulla in comune con il ritratto.

Si rivolge agli occhi dello spirito per fargli contemplare i «corpi spirituali» di cui parla san Paolo. Tutto ciò che è fioritura psichica, gesto drammatico, posa, agitazione, è radicalmente soppresso. Ogni icona è in funzione dell'icona del Salvatore -detta «acheropita», non fatta da mano d'uomo- del «Santo Volto»; gli angeli la tengono sopra un velo e la mostrano agli uomini. Non è un ritratto di Gesù, ma appunto l'icona della sua presenza. L'aspetto aneddotico è ridotto al minimo indispensabile per servire da richiamo, il significato raffigurato è il suo significato metastorico. I martiri non portano gli strumenti del loro supplizio, sono già al di sopra della storia terrestre - vi sono presenti ma in modo diverso. L'icona mostra nel santo il pensiero di Dio su di lui. L'eremita rappresenta, per san Giovanni Climaco, «la forma terrestre dell'angelo». L'arte sacra non disincarna ma dematerializza le essenze e rivela la materia trasparente, sottomessa al servizio dello spirito.

(… L’icona) Tratta lo spazio e il tempo con libertà totale, lasciando ben lungi dietro di sé le audacie

dei pittori astratti. Tutto si espande al di fuori dello spazio-prigione, la posizione dei soggetti e la loro grandezza sono definite dagli occhi dello spirito, nel loro valore proprio e indipendente. La disposizione aprospettica lascia la libertà di disporre ogni parte in funzione di se stessa e di conservare il ritmo suo proprio alla composizione.

Vi sono icone nelle quali la prospettiva è invertita, le linee si avvicinano allo spettatore, dando l'impressione che i personaggi escano dall'icona e gli vengano incontro. Anziché la visione duale degli occhi carnali si ha la visione mediante l'occhio del cuore …

La prospettiva invertita ha il suo punto di partenza nel cuore di colui che contempla l'icona. I pesi e i volumi scompaiono e le linee dorate, penetrando come raggi dell'energia deificante, spiritualizzano i corpi. L'homo terrenus diviene homo caelestis, leggero, lieto e alato. I corpi sono come fusi nell'oro etereo della luce divina. Il fondo dorato sostituisce lo spazio a tre dimensioni.

(…)

L'assenza delle forme abituali rende sorprendentemente vicina la dimensione spirituale, la vera profondità dello spirito. Il corpo è disegnato a tratti leggeri, più che vederlo lo si indovina attraverso le vesti che formano pieghe sobrie: la snellezza quasi lineare delle figure non attira l'attenzione sull'anatomia, ma dirige gli sguardi verso l'interiorità. D'altronde tutto è dominato dal volto. L'iconografo comincia dalla testa, la quale detta la dimensione e la posizione del corpo e dirige il rimanente della composizione. Anche gli elementi cosmici prendono figura umana, perché l’uomo è il verbo cosmico. Gli occhi grandissimi dallo sguardo fisso contemplano l' al di là; le labbra sottili sono prive di ogni sensibilità (le passioni e il cibo), fatte per cantare la lode, per consumare l'eucarestia e per dare il bacio di pace. Il naso è una curva sottile, la fronte è ampia e alta, la sua leggera deformazione accentua l'elemento di predominio contemplativo del pensiero. La tinta scura dei volti sopprime ogni nota realistica o sensuale. La posizione frontale evita il drammatismo psichico della posa e del gesto che distrae: il profilo interrompe la comunione. L'immobilità dei corpi, che tuttavia non è statica, concentra tutto il dinamismo nello sguardo del volto. Ogni inquietudine, ogni preoccupazione, ogni esaltazione del gesto svanisce dinanzi alla pace interiore.

(…)

Le piante e gli edifici non hanno valore in sé, ma sono segni che sottolineano la posizione dei corpi e servono – e sono subordinati – al simbolismo della composizione.

I colori non sono mai opachi od oscuri. Tranne alcuni (l'oro, la porpora, l'azzurro ecc.) possono mutare seguendo il tema lineare. Colpiscono, divengono sonori, meravigliano per la loro gioiosa intensità. I toni celeste, vermiglio, verde chiaro, pistacchio, oltremare, porpora, scarlatto formano sfumature molteplici, che si parlano a vicenda e con i loro toni infinitamente mutevoli rispecchiano la luce divina. La Trasfigurazione è rutilante d'oro; ma dove è posta in evidenza l'umanità di Cristo, la kenosi è indicata da altri colori. Vi è tutta una scienza della luce; non esistono chiaroscuri, né rilievi segnati da ombre; nel mondo dell'icona il sole non tramonta, la luce è senza attenuazioni: è il meriggio abbagliante dell'incarnazione, senza ombre né oscurità. Le sfumature vengono espresse soltanto dal contrasto dei colori, al di fuori di ogni artificio di illuminazione e di prospettiva. L'artista separa l'importante dal secondario con macchie di intensità diversa. Nell'insieme segue il metodo di «chiarificazione» progressiva, che va dai toni scuri ai toni luminosi. La sorgente della luce è assente, perché la luce è dentro l'icona, è essa che rischiara tutti i dettagli della sua composizione.

L'immobilità esteriore delle figure è paradossale perché è essa che crea l'impressione che all'interno dell'icona tutto sia in movimento: «Si avanza perché si è arrestati», «i pozzi di acqua viva», «il movimento immobile» - l'icona illustra mirabilmente questi paradossi del linguaggio mistico, l'impotenza di ogni descrizione. Il piano materiale sembra raccolto nell'attesa del messaggio, lo sguardo soltanto traduce tutta la tensione delle energie in vita.

«L'Arte divina» postula la grazia, il carisma profetico: «A coloro che conoscono e ricevono visioni profetiche nelle forme e nelle immagini che Dio stesso ha dato loro e che il cuore dei profeti professa di aver veduto, che si attengono anche alla tradizione, scritta o orale, venuta dagli Apostoli fino ai Padri, e che per questo motivo rappresentano in immagini le cose e le venerano, sia memoria eterna».

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